INTRO:
Vissuto tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, nativo di Varese ma luvinatese di adozione, di professione scalpellino impiegato nei cantieri che in quel periodo stavano costruendo il Gran Hotel e la Funicolare, di vocazione scultore, dopo una dura giornata di cantiere trovava il tempo per vagare per i boschi della montagna alla ricerca di pietre che potessero ispirare la sua immaginazione, che trasformava in opere lavorate sul posto perché diceva “alla montagna non va tolto neanche un fiore, sarebbe come togliere un bimbo alla madre”.
INTRO STORICA:
Uomo d’altri tempi, il “Matt de la Cruz”, come veniva bonariamente chiamato, ci ha lasciato in eredità una produzione artistica pregevole e molto particolare. Difficilmente inquadrabile in un preciso stile artistico, le sue opere sono “di un candore ed una ingenuità disarmanti, ma mai banali o infantili; mantengono la purezza dello spirito libero, svincolato da norme, imposizioni e insegnamenti scolastici”. Ad oggi le opere che sono rimaste, almeno quelle di cui si conosce l’esistenza e che sono sopravvissute agli agenti atmosferici, all’incuria e agli atti vandalici, appaiono tristemente abbandonate ad un destino che sembra già segnato, un oblio che ci farebbe perdere un patrimonio artistico che andrebbe invece preservato e valorizzato.
Nel 2003 è stato pubblicato il libro “Caravati e Bertini, gli artisti del bosco” in cui è stata fatta una notevole e approfondita ricerca sulla storia e le opere di Edoardo Caravati, che ho avidamente letto permettendomi una conoscenza più profonda dell’uomo e della sua opera. Questo libro è diventato una guida per riproporre un progetto che ciclicamente viene evocato, ovvero un percorso tematico che possa toccare tutte le sue sculture collocate tra Luvinate, il Campo dei Fiori e il Sacro Monte e che possa anche essere inteso come una via da fare correndo o camminando, secondo le esigenze di chi lo intraprende.
PERCORSO:
Punto di partenza è il sagrato della chiesa di Luvinate, dove si trova il bassorilievo del “Battesimo di Cristo”. Da qui mi dirigo verso monte percorrendo l’itinerario dello “Scarpone Luvinatese”, reso famoso da un’epica gara che da oltre mezzo secolo si svolge nel mese di maggio. Il percorso è da subito impegnativo, alternando tratti erti ad altri più facili, e mentre mi immergo sempre più nel cuore della montagna, col respiro via via più intenso, non posso non pensare al Caravati che ogni giorno percorreva questi sentieri, zaino in spalla e scalpello in mano, per recarsi al duro lavoro di cantiere e nel frattempo si guardava intorno, scrutando pietre e rocce che gli potessero accendere la fantasia creativa dove far calare la sua possente mano scultorea.
A circa metà salita, poco prima di un caratteristico canyon, si trova forse l’opera più conosciuta e simbolica di Caravati, il “Sass dul Signur”, una croce con Cristo scolpito, conficcata sopra un masso. Questo è un luogo mistico, diventato sito di culto popolare invaso da medaglie, targhette, rosari e quant’altro...dopo una breve pausa proseguo salendo, e come tutti i sentieri del Campo dei Fiori, più ci si avvicina alla sua sommità più diventano ripidi, con l’aggravante di un fondo particolarmente sconnesso a causa di sassi, radici e tronchi più o meno grandi depositatesi lì dal susseguirsi degli eventi atmosferici. L’ultima parte è bollata con evidenti segni rossi sugli alberi che mi guidano fino a intercettare la strada militare, Sentiero 1/301, che mi porta al Piazzale Belvedere. Qui, di fianco al cancello che conduce all’Osservatorio Astronomico, si trova il “Crocifisso con le Tre Marie” che originariamente era collocato al Piazzale del cannone, poi spostato qui per via dei cedimenti che stavano interessando la zona in cui era collocato.
Seguendo il Sentiero 1/301, con un piccolo tratto di strada asfaltata, vado in direzione del Piazzale del cannone, circumnavigo la zona militare e tramite un percorso molto panoramico giungo all’opera forse più importante di Caravati, il “Nostro Signore Onnipotente”, un Cristo a figura quasi intera posizionato sopra un masso e rivolto verso valle, anche se ora lo sguardo si infrange contro il muro di alberi cresciuti negli anni e che ai tempi della sua collocazione invece non esistevano.
Dal “Monolite” si raggiunge un’altra opera molto particolare, detta “Il Presepe”, per via delle dinamiche scene rappresentate che sembrano ricordare una natività. Dal Presepe una piccola risalita a serpentina mi porta verso la recinzione che delimita la proprietà della vecchia colonia Elioterapica Sirio Magnaghi in evidente stato di abbandono, e seguendone il perimetro, dopo una sinistra svolta a gomito, scendo repentinamente fino ad incontrare la strada asfaltata che sale verso il Piazzale Belvedere. Giunto alla strada giro a sinistra e mi dirigo al sottostante tornante, dove nel muro di contenimento a lato strada trovo le formelle con varie rappresentazioni scolpite sul posto da Caravati. Queste purtroppo sono molto deteriorate e quasi si fa fatica a scorgerle e ad apprezzarle.
Da questo punto posso tirare un po’ il fiato, visto che ora il percorso prevede una discesa fino all’abitato del “Sacro Monte”, dove all’interno del lavatoio di recente restauro, si trova un “Volto di Cristo” scolpito direttamente nella roccia ma di difficile individuazione, un bassorilievo in gness e un crocifisso in bianco calcare, il tutto murato sulla parete.
Proseguo ancora in discesa fino a prendere la strada che porta in direzione Osservatorio, e poco prima dei gradini della funicolare, vicino ad una fonte ristoratrice c’è una croce con Cristo scolpita, pacchianamente pitturata di colori accesi da qualcuno che evidentemente non era a conoscenza dell’autore, perchè stride notevolmente con la personalità molto schiva di Edoardo Caravati.
Dopo un piccolo tratto di asfalto imbocco il Sentiero 9/309 del S. Francesco che in breve tempo mi porta all’abitato di Velate che oltrepasso zigzagando tra i suoi angusti vicoli, e visto sono quasi arrivato alla fine del percorso cerco di immaginare come potesse essere la vita di Caravati ai primi del ‘900, così incredibilmente diversa da come lo è oggi, senza distrazioni e con pochi pensieri, dove probabilmente il principale era quello di guadagnare qualcosa per poter sfamare la famiglia, oltre al fatto di poter esprimere la sua arte attraverso ciò che la natura gli offriva.
Mentre elucubro questi concetti, arrivo alla località “Piano della Croce” dove si trova, anche se diroccata e ingoiata dalla vegetazione, la casa dove viveva Edoardo Caravati. Passata la casa e imboccata la via San Vito, arrivo all’ultima tappa del mio percorso, in località Selvapiana, dove nel cortile di un’abitazione si trovano due busti in pietra calcarea che rappresentano i coniugi Broggi. Ho avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con il nipote dei nonni rappresentati nei busti, il quale mi raccontava che furono una sorta di ringraziamento del Caravati che passava di qua per dirigersi verso il Campo dei Fiori, e visto il poco remunerativo lavoro di scalpellino, gli veniva fatto dono di qualche genere alimentare...come detto fin dall’inizio, altri tempi e uomini d’altri tempi.
Poche centinaia di metri mi riportano al punto dove ero partito, chiudendo l’anello al sagrato della chiesa.